Internazionale

Sentenza n. C 715/17, C718/17 e C719/17 del 2 aprile 2020 Corte di Giustizia UE

Sentenza n. 7494 del 24 marzo 2020 Corte di Cassazione

Respinta la domanda di riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità civile per ciechi parziali per carenza del possesso della carta di soggiorno

CORTE DI CASSAZIONE

Rilevato che

1. con sentenza n. 1305 pubblicata il 7.12.17 la Corte d'appello di Bologna, in riforma della decisione del Tribunale di Ravenna, ha respinto la domanda proposta da ***** nei confronti dell'INPS ed intesa al riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità civile per ciechi parziali ventesimisti (negata dall'Inps per carenza del possesso della carta di soggiorno);
2. la Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che il termine semestrale di decadenza di cui all'art. 42, comma 3, del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326, decorresse dalla data di comunicazione (9.5.2013) del provvedimento emanato in sede amministrativa di rigetto della domanda per mancanza della carta di soggiorno, sicché il ricorso introduttivo del giudizio depositato solo il 5.8.2014, dopo oltre un anno, fosse inammissibile;
3. avverso tale sentenza ***** ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito l'Inps con controricorso;
4. la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale;
Considerato che
5. col primo motivo di ricorso ***** ha dedotto violazione o falsa applicazione dell'art. 42, comma 3, del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326 (in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.);
6. premessa l'irrilevanza del mancato possesso della carta di soggiorno a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 22/2015, la ricorrente ha censurato la decisione d'appello per non avere considerato, ai fini del decorso di un nuovo termine di decadenza, la successiva fase comprendente il ricorso amministrativo proposto avverso il provvedimento di diniego comunicato il 9.5.15 e il provvedimento emesso dall'Inps n. 140922 del 27.3.2014;
7. col secondo motivo di ricorso la D.S. ha dedotto violazione o falsa applicazione dell'art. 42, comma 3, del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326, in combinato disposto con gli artt. 153 e 294 c.p.c. (in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) per non avere la Corte d'appello giustificato la decadenza dall'azione in ragione del comportamento dell'Inps che, nel provvedimento di rigetto del 9.5.13, aveva indicato la possibilità di presentare ricorso amministrativo nel termine di 90 giorni e azione giudiziaria entro tre anni dalla scadenza del termine previsto per la decisione del ricorso amministrativo;
8. il primo motivo è infondato;
9. questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: "L'art. 42, co. 3, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui dispone che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto (poi differita al 31 dicembre 2004 in forza del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2004, n. 47, l'art. 23, comma 2) «non trovano applicazione le disposizioni in materia di ricorso amministrativo avverso i provvedimenti emanati in esito alle procedure in materia di riconoscimento dei benefici di cui al presente articolo», si riferisce ai ricorsi amministrativi precedentemente previsti sia contro i provvedimenti di mancato riconoscimento dei requisiti sanitari sia contro i provvedimenti di rigetto o revoca dei benefici economici attinenti a requisiti non sanitari, quali quelli cosiddetti socioeconomici. Di conseguenza, il termine di decadenza per la proposizione dell'azione giudiziaria previsto dalla seconda parte dello stesso comma 3° opera sia con riguardo all'ipotesi in cui il diniego in sede amministrativa sia conseguente a ragioni sanitarie sia all'ipotesi in cui il diniego dipenda da ragioni diverse" (Cass. n. 25268/2016; n. 15573/2017; Sez. 6 n. 6699/2019; n. 12302/2019);
10. la tesi di parte ricorrente, secondo cui il termine di decadenza potrebbe decorrere anche dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul ricorso amministrativo, si scontra con la lettera e la ratio dell'art. 42, comma 3 cit. che ha disposto l'abolizione del contenzioso amministrativo in materia di invalidità civile e collegato il termine semestrale di decadenza per la domanda giudiziale alla data di "comunicazione all'interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa", nonché col principio secondo cui le norme che stabiliscono decadenze sono di stretta interpretazione sicché ne è preclusa qualsiasi applicazione analogica o estensiva;
11. anche il secondo motivo di ricorso è infondato alla luce del principio affermato da questa Corte con riferimento alla decadenza prevista dall'art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, ma applicabile anche alla decadenza prevista dall'art. 42 , comma 3, D.L. n. 269/2003 cit. secondo cui, l'erronea indicazione da parte dell'INPS del termine per proporre ricorso in sede giurisdizionale, contenuta nel provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo, non è idonea ad incidere sul decorso dei termini di decadenza dall'azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, trattandosi di termini stabiliti da disposizioni di ordine pubblico, indisponibili dalle parti. (Cass. 12630/18; n. 10376/15);
12. le considerazioni svolte conducono al rigetto del ricorso;
13. le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo;
14. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 1.500,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Sentenza n. 2554 del 4 febbraio 2020 Corte di Cassazione

Riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria
Qualora il richiedente il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria deduca una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d'origine - pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese - questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Altrimenti, qualora si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Sentenza n. 1785 del 27 gennaio 2020 Corte di Cassazione

Il minore ha diritto di essere ascoltato anche nei procedimenti per il riconoscimento di una forma di protezione internazionale
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente: 
ORDINANZA
Fatto 
RITENUTO CHE:

*****, al quale era già stato riconosciuto il permesso di soggiorno quale minore, in persona del tutore, ha impugnato dinanzi il Tribunale di Bari, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della altre forme di protezione internazionale.
Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione avverso detto decreto con sei mezzi.

Diritto 

CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del combinato disposto di cui all'art. 12 della Convenzione di New York e dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo in materia di ascolto del minore. Il ricorrente sostiene che il Tribunale, nel motivare il rigetto, ha ricalcato il provvedimento di rigetto della Commissione, ravvisando incongruenze e contraddizioni tali da minare la credibilità del racconto concernente sia la provenienza dalla città di (OMISSIS), sia le ragioni di fuga dal Mali, senza procedere al richiesto ascolto del minore, presente all'udienza. Critica la statuizione con la quale, da un lato eh si è dato atto della irrilevanza dell'audizione diretta, in ragione dell'acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese in due occasioni alla Commissione "sufficientemente ampie e adeguatamente illustrative dei motivi dell'invocata protezione" e dall'altro si è ritenuto non credibile il narrato per incongruenze e contraddizioni. Il motivo è fondato e va accolto. L'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino. Ne consegue che l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (Cass. n. 12018 del 07/05/2019; Cass. n. 6129 del 26/03/2015) ed è un adempimento necessario, salva la sussistenza di particolari ragioni (da indicarsi specificamente) che ne sconsiglino l'audizione, ove essa possa essere dannosa per il minore stesso, tenuto conto, altresì, del suo grado di maturità (Cass. n. 10784 del 17/04/2019). Tali principi trovano applicazione anche nei procedimenti concernenti la richiesta di protezione internazionale. Il Tribunale ha disatteso la richiesta di audizione senza attenersi ad essi e la decisione va cassata.
2. Con gli altri motivi il ricorrente denuncia: Secondo motivo: Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) perché la situazione politico/sociale dell'intero Paese era connotata da una situazione di sicurezza precaria - come evidenziato dalla stesso Tribunale e dalle fonti da questi consultate - di guisa che il riconoscimento avrebbe potuto essere concesso, indipendentemente dalla provenienza del richiedente dall'una o dall'altra zona. Terzo motivo: Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 4 per essere stato il provvedimento della Commissione territoriale redatto e sottoscritto dal solo Presidente e, conseguentemente, nullo.Quarto motivo: Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 12, comma 1, in merito allo svolgimento del colloquio dinanzi ad un unico componente della Commissione territoriale. Quinto motivo: Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 per non avere tenuto conto la Commissione della appartenenza del richiedente alla categoria vulnerabile, in quanto "minore". Sesto motivo: Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Commissione raccomandato il rilascio del permesso umanitario. I motivi dal secondo al sesto vanno dichiarati assorbiti. 
3. In conclusione va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; il decreto impugnato va cassato con rinvio al Tribunale di Bari in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese del presente grado.

P.Q.M.

- Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Bari in diversa composizione anche per le spese. Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019. 
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020

Sentenza n. 1105 del 20 gennaio 2020 Corte di Cassazione

Diniego della protezione internazionale ed umanitaria - abusata sessualmente e indotta alla prostituzione

Sentenza n. 774 del 16 gennaio 2020 Corte di Cassazione

L'autorizzazione alla permanenza o all'ingresso temporaneo in Italia del minore tutela il suo diritto fondamentale a vivere con i genitori.
L'autorizzazione alla permanenza o all'ingresso temporaneo in Italia, prevista dalla normativa in esame costituisce una misura incisiva a tutela e a protezione del diritto fondamentale del minore a vivere con i genitori, mentre l'interesse del familiare ad ottenere tale autorizzazione riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonchè la ragione unica del provvedimento autorizzatorio.

Ordinanza interlocutoria n. 18 del 03/01/2020 - Diritto internazionale privato 

La Seconda Sezione civile ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delle questioni di massima, di particolare importanza, concernenti (a) l'individuazione dell'ordinamento cui fare riferimento per qualificare istituti e materie in ambito successorio, ai fini dell'operatività degli artt. 13, comma 1, 15 e 46 della l. n. 218 del 1995, (b) l'applicabilità o meno del rinvio ex art. 13, comma 1, l. n. 218 cit., allorché la legge straniera richiamata sia in contrasto con il principio di unitarietà della successione fissato dal successivo art. 46 della medesima legge, (c) i limiti di operatività della legge straniera richiamata, ove la stessa contempli il cd. principio della scissione, nonché i suoi riflessi sulla validità del titolo successorio e, infine, (d) le conseguenze - sulla regolamentazione del fenomeno successorio - del rinvio alla "lex rei sitae" contenuto nella norma straniera richiamata.