Ringraziamento speciale
"Quanto è più crudele del morso di un serpente l’ingratitudine di un figlio". - William Shakespeare
Ho atteso tanto per scrivere questo post. C'ho pensato a lungo. Mi sono chiesta se sarebbe stato opportuno. Se sarebbe stato giusto condividere, aprire il cuore, rendersi vulnerabili.
Poi... Ho deciso di pubblicarlo oggi, in un giorno speciale: quello del tuo compleanno.
Il motivo di tale regalo è spiegato nelle righe che seguono.
Il momento in cui decisi per la prima volta - tralaltro l'ultima - cosa avrei fatto da grande risale a quando, a 9 anni, mi ritrovai seduta, amorevolmente, sulle gambe di uno dei più grandi penalisti, l'Avv. Nino Marazzita. Ricordo che lo guardavo ammaliata, con la stessa malia tipica dei bambini che osservano il mondo per la prima volta. Difendeva papà morto prematuramente.
Mi guardò con aria tenera e mi chiese - probabilmente perché sembravo più grande e, per questo, pronta già a grandi scelte di vita - cosa volessi diventare da grande, cosa volessi essere, cosa desiderassi per il mio futuro. Beh in quel momento non c'era astronauta, dottore, esperto di moto delle farfalle che tenesse. "Voglio fare quello che fai Tu. Aiutare le persone". Quel tu risuonò nelle tue orecchie come un sacrilegio. "Ninni devi dare del Lei". Forse quella fu una delle volte che ti vergognasti di più. Ah no. La peggiore situazione fu quando diedi la mano allo stilista Valentino indossando i guanti. Ma vabbè.
Venivo dalla periferia e ne avevo viste di cose passarmi sotto il naso. Avrei potuto tranquillamente essere una teppista senza valori. Mentre io decisi di tenere a mente quell'incontro speciale. E l'amore per la professione crebbe a dismisura. Per motivi non proprio simpatici. Penso che di tribunali, avvocati, giudici, assistenti sociali io ne abbia visti a bizzeffe. Una quantità tale da fare invidia a chiunque. Ed i bambini mi chiedevano se io avessi paura. "Paura? No". Non potevo avere paura di qualcosa che per me era così affascinante, immenso e straordinario. L'avvocatura, i tribunali.
Gli anni sono passati inesorabili. Avrei potuto cambiare certamente cambiare il corso delle cose. Ma niente. D'altronde ho sempre avuto una predisposizione ad imparare le lingue più velocemente degli altri. Il fatto di avere origini straniere mi facilitava. Ma non ho mai colto la palla al balzo. Non mi piaceva questa silente raccomandazione. Inoltre avevo una spiccata vena artistica frutto di una famiglia di talentuosi. Ma questa cosa che potessi ottenere tutto più agevolmente non mi piaceva. Mi sono sempre piaciute le cose complesse, il cui risultato non sempre era certo.
Ed ecco perché scelsi giurisprudenza. Mi dicevi sempre che avevo la parlantina giusta e che - anche per questa mia qualità (o meglio dire difetto) - ce l'avrei fatta. Solo tu sapevi quanto io mi fossi sempre incaponita sulle cose. Da bambina, se una cosa smetteva di funzionare, io la smontavo, la studiavo e cercavo di farla ripartire. E se ci riuscivo mi dicevi: "Ninni ma tu sei un genio proprio". Facevo i puzzle al contrario perché volevo osare e riuscire. Sempre perfezionista.
Mi dicevi che sarei stata quello che volevo e che lo sarei stata in modo impeccabile. Ricordi quando sostenni l'esame di diritto penale parte generale? Tornai a casa commossa perché uno dei professori più rigidi - tale Vincenzo Scordamaglia - mi disse: "sa io ne ho conosciute di persone. E credo che lei abbia una forte motivazione a diventare avvocato. È mossa per caso da motivi personali?". Ricordo che rimasi pietrificata e l'unica cosa che seppi fare fu quella di annuire. Stette in silenzio, fissò il mio libretto, sorrise. "Vede avevo visto lungo. Nonostante io sia vecchio ancora non sono totalmente rimbambito". Ridemmo per 6 secondi. Poi lui tornò serio ed austero ed io rimasi con il mio solito sorriso da ebete. Poi incalzò di nuovo: "Credo che lei sarà un ottimo avvocato". Così mattonella in testa. Fu uno dei più bei complimenti che ricevetti in tutta la mia vita universitaria. Quel giorno mangiammo le caramelle gommose per festeggiare. Le tue. Quelle di cui eri tanto gelosa tanto da nasconderle dietro al cuscino.
Quanto mi hai vista piangere sui libri. E quante volte mi hai messo i bastoni tra le ruote. Avevi paura che ce l'avrei fatta davvero e che sarei andata via da te. E poi la malattia. Quella vera, quella contro la quale abbiamo combattuto insieme. Quasi 3 anni di stop. Ero una papabile 110 e lode. Divenni un semplice 99. Senza lode ma felice.
Ero pronta, carica ad iniziare il mio percorso da neolaureata in legge. Ma le cose hanno preso una piega diversa. Perché dicono che sia bello anche così. E lo è stato anche se il senso di colpa ed il vuoto che ho sentito in quegli anni negli Stati Uniti non mi hanno mai abbandonata davvero. Ancora oggi sento che qualcosa è mancato, che non posso riaverlo e che mi mancherà per sempre. Ma le cose non vanno mai - o quasi - come le abbiamo programmate. Lavorare in uno studio internazionale è stata l'esperienza più gratificante e formativa che io abbia mai vissuto. Ma l'esame di stato in Italia mi chiedeva qualcosa di più. Forse non ero davvero pronta. Avevo una forma mentis troppo differente perché avevo scelto di essere differente.
Perché l'amore aveva vinto sul mio io. Ma nonna, io non ho mai dimenticato cosa volessi essere.
E proprio per questo ha avuto inizio il percorso che mi ha fatto soffrire molto. So che lo sai. Per un momento mi hanno fatto sentire sporca, sbagliata, paracula. Non pronta. Che poi non ho mai capito se coloro che mi dicevano che non ero pronta avessero bene a mente che l'essere pronti non è uno status che si acquisisce con la nascita.
Eccoci. Ce l'abbiamo fatta. Mancano le caramelle gommose, manca quella sensazione di famiglia, manca il rito del tuo compleanno (rigorosamente lasagna e tiramisù). Non ti nego che c'è stato un momento in cui avrei voluto mollare. Pensa che mi sarebbe piaciuto fare la stilista. Ma ricordo che pensai "chissà nonna che mi avrebbe detto. Forse ci sarebbe rimasta male". E l'idea di non sapere cosa avresti pensato mi ha fatto rimanere sui miei passi. Per poi capire che è stato tremendamente giusto così.
Di cose me ne hanno dette tante. E non credo di essermele mai davvero meritate. Ma tanto so che lo sai. Quanto ho sofferto. Sapevo che tu ci credevi e continuavo a crederci anche io. Quindi sono andata dritta, sono caduta, sono rimasta a terra e alla fine mi sono rialzata. Ed ho indossato la toga quel memorabile 13 febbraio 2020. Ok, forse non sarò mai l'avvocato di grido e giuro che - anche se con un po' di amarezza - non ne farò una malattia. Studierò ed imparerò giorno dopo giorno quello che non sono riuscita ad imparare quando era il momento e quando avevo le forze.
Sono diventata quello per cui ero nata, quello che desideravi io diventassi.
Ultima cosa e poi ti lascio stare. Il giorno del giuramento il presidente ha detto una frase che mi ha molto colpita: "i genitori vi hanno fatto un dono che non avete richiesto e che è il dono della vita. Oggi, con questo giuramento, vi fate il dono che avete scelto per voi".
"Avvocato Silvestri buongiorno. Posso disturbarla?". Adesso dimmi che non avresti pianto anche tu di soddisfazione.
Beh, oggi ti regalo questa soddisfazione.
28 febbraio 2020. In ricordo di mia nonna dalla quale ho imparato il senso del sacrificio e del "non rimandare a domani quello che potresti fare oggi"